Mentre ancora si cerca di fare chiarezza sulle cause del blackout di lunedì in Spagna, in Portogallo e in parte della Francia, più di qualcuno ha puntato il dito contro le rinnovabili per il fatto che due impianti si sono staccati dalla rete a distanza di cinque secondi poco prima dell’evento.
A parte l’impossibilità tecnica di mandare in default il sistema elettrico di una nazione semplicemente “spegnendo” due impianti, come associazione del settore ci teniamo a puntualizzare che tutte le reti sono dotate di “sistemi di difesa” che intervengono in casi simili senza creare disagi se non alla rete locale e per un tempo limitato.
In Italia una situazione del genere non sarebbe possibilepoiché gli impianti da fonte rinnovabile sono connessi alla rete secondo regole e criteri ben precisi cheimpediscono criticità in caso di guasto. La Spagna ha un parco rinnovabili molto più datato di quello italiano e con regole di connessione che all’inizio non erano così restrittive come lo sono oggi. Terna ha più volte aggiornato il codice di rete implementandolo con l’obbligo di funzioni e dispositivi di controllo a carico del produttore, che sono stati pensati proprio per evitare situazioni potenzialmente critiche ed impatti sulla stabilità della rete elettrica nazionale.
È possibile per il caso spagnolo che una serie di sistemi di sicurezza che sì sarebbero dovuti attivare non abbiano funzionato correttamente. Certamente, è improbabile che l’interruzione di due impianti di produzione da fonte rinnovabile possa mettere in crisi l’intero sistema elettrico spagnolo. Inoltre la messa in sicurezza delle centrali nucleari ha fatto sì che molta energia sia servita a questo scopo, ritardando il ripristino della rete.
La nostra associazione GIS – Gruppo Impianti Solari accoglie con favore la sentenza del Tar del Lazio, che ha stabilito l’illegittimità delle linee guida della Regione sulle rinnovabili, con le quali era stato di fatto limitato lo sviluppo degli impianti in ogni provincia a un massimo del 50% del totale autorizzato nella Regione. Uno stop che riguardava essenzialmente la provincia di Viterbo che, insieme a quella di Latina e parzialmente a quella di Roma, è tra le uniche “appetibili” per la realizzazione di impianti per ragioni di rete elettrica, di morfologia del terreno e di irraggiamento. Territori che però, soprattutto quando non vengono realizzati impianti agrivoltaici, finiscono per sopportare pressoché da sole l’impatto della realizzazione di nuovi impianti.
GIS è sempre stata critica nei confronti di questo provvedimento (Deliberazione 171), approvato a maggio 2023 e prorogato a dicembre dello scorso anno, per due motivi. Il primo è che si traduceva in un divieto generalizzato a qualsiasi nuovo impianto nella Provincia di Viterbo e, quando si fanno le crociate aprioristiche, si producono solamente ingiustizie. Il secondo è che il totale autorizzato che si prendeva come riferimento per impedire l’avvio di procedimenti nelle singole province non era un numero fisso, bensì variabile di data in data. Un progetto poteva quindi essere escluso o approvato non in base alla validità delle soluzioni proposte, ma a seconda della tempistica di effettiva presentazione dell’istanza di autorizzazione. In questo modo, le linee guida del Lazio si risolvevano in una sorta di moratoria sine die, espressamente vietata dalla legge nazionale.
Queste criticità vengono rilevate anche al punto 24 della sentenza 6969 dell’8 aprile del Tar Lazio, con cui è stato accolto il ricorso di una società che aveva proposto la realizzazione di un impianto agrivoltaico da 8 MW e si era vista sbarrare la strada. Al punto 40 si legge invece che alle Regioni “non è impedita l’introduzione di criteri di proporzionalità e sussidiarietà volti allo sviluppo armonico degli interventi in materia sul territorio regionale, restando fermo, tuttavia, che i singoli procedimenti vanno definiti in seguito a una puntuale istruttoria procedimentale, nell’ambito della quale, anche sulla base delle valutazioni compiute a monte negli atti di programmazione, potranno trovare adeguata considerazione le istanze di tutela delle matrici paesaggistiche e ambientali che vengano in rilievo”. Il problema – spiega il Tar – è che queste linee guida si traducono “neldivieto aprioristico di instaurare tale specifica interlocuzione procedimentale, donde l’inevitabile illegittimità per violazione dei principi inderogabili che governano la materia”.
Questa sentenza apparentemente ribalta un precedente pronunciamento dello stesso Tribunale, che il 31 dicembre 2024 aveva reperito un contenuto legittimo nelle linee guida della Regione Lazio. In realtà, la sentenza di dicembre non è in contraddizione con quest’ultima di aprile. A dicembre il Tar aveva infatti già spiegato che le linee guida del Lazio potevano avere uno spazio di legittimità, a condizione di interpretarle e applicarle come un mero atto di indirizzo e non come divieto generalizzato di realizzare impianti nella Provincia di Viterbo. Accertato, invece, che la Regione e le Province applicavano le linee guida in modo automatico, esprimendo solo pareri negativi in fase di VIA e negando le autorizzazioni uniche in fase autorizzativa, il Tar ha annullato la Deliberazione che introduceva queste linee guida ed esposto la Regione alle richieste risarcitorie di tutte le società che si sono viste bloccare progetti sulla base di questo provvedimento.
Gli effetti della sentenza su GIS
La sentenza del Tar è immediatamente esecutiva e quindi produce subito l’effetto di rimuovere dall’ordinamento gli atti illegittimi della Regione. Saranno anche impugnabili tutti gli atti assunti dalle amministrazioni in fase di valutazione di impatto ambientale o di autorizzazione, che abbiano fatto applicazione delle annullate linee guida. Ovviamente serve anche prudenza ed equilibrio, perché per qualche mese saranno ancora pendenti i termini per un eventuale appello al massimo giudice amministrativo, ossia il Consiglio di Stato.
Noi di GIS – che ci impegniamo ad adottare i massimi standard etici e tecnici nello sviluppo dei progetti per una piena sostenibilità degli impianti – siamo consapevoli del fatto che manca l’ultimo grado di giudizio, ma non vorremmo dover ancora attendere i tempi della giustizia amministrativa. Auspichiamo perciò che la Regione Lazio si rassegni a prendere atto della sentenza del Tar, a maggior ragione perché è conforme a numerose pronunce della Corte Costituzionale, e interpreteremo un eventuale appello come un atto ostile, preconcetto e scriteriato.
Nel frattempo, sulla base dei condivisibili principi espressi dal Tar in armonia con l’intera giurisprudenza in materia ambientale, confidiamo in uno sblocco favorevole per l’impianto agrivoltaico della nostra associata Sun Legacy 5, che dovrebbe sorgere a Tarquinia, e sul quale la Regione Lazio ha per ora espresso parere non favorevole, principalmente proprio sulla base della delibera annullata dal Tar Lazio. La Regione aveva anche espresso preoccupazioni sulla perdita di habitat e di biodiversità, ma questi pericoli sono evitati grazie alla innovativa progettazione della nostra associazione. Su questo progetto attendiamo anche la pronuncia del Mase, chiamato a valutarne l’effettivo impatto ambientale.
La nostra proposta
Noi di GIS proponiamo da tempo di dedicare il 3% di ogni Comune al fotovoltaico e lo 0,3% all’eolico fuori da ogni vincolo. Questa soluzione, contrariamente a quella della Regione, non sarebbe accompagnata da incertezza, perché la superficie dei Comuni non cambia nel tempo. Inoltre sarebbe offerto un criterio temporale per valutare in modo omogeneo e giusto tutte le istanze di VIA e di autorizzazione. Garantirebbe infine una maggiore equità nella distribuzione dei carichi tra enti locali nonché un abbassamento dei costi energetici per tutta la popolazione che, a queste condizioni, potrebbe forse più facilmente accettare gli impianti non vedendoli più tutti concentrati in poche aree.
Le autorità non l’hanno ancora accolta, ma noi la stiamo già mettendo in pratica. Dal 2019 non scegliamo più come località per i nostri impianti Montalto di Castro e Tuscania dove la percentuale del 3% è stata già abbondantemente superata.
Questa è anche una delle ragioni per le quali la nostra associata Sun Legacy 5 ha scelto Tarquinia per il suo progetto. La seconda è che l’area prescelta rientra nelle aree idonee ex lege, essendo in prossimità di un’autostrada, vicina a una Sottostazione Terna da 380 kV, confinante con un parco fotovoltaico e ben due aree industriali. Grazie anche alle innovative soluzioni che noi di GIS abbiamo presentato, questi impianti rappresentano oggi l’unico mezzo di salvaguardia di specie animali presenti in zona. In assenza di questi interventi (resi possibili dagli investimenti nel fotovoltaico), queste rischiano di scomparire per mancanza di habitat.
Il nostro (amaro) commento
“Insieme alle nostre proposte, prevalutate da giuristi esperti per porle al riparo da sentenze di annullamento e dai conseguenti rischi risarcitori che ora la Regione e le Province correranno, dobbiamo anche sottolineare la completa mancanza di visione della Regione Lazio a trazione Rocca, che ha contraddetto un indirizzo di buon senso sposato in precedenza, che lasciava l’ultima parola non alla politica, ma ai prudenti tecnici ed esperti ambientali e urbanisti funzionari pubblici. Ora la Regione (e purtroppo diverse Province) ha zittito i propri tecnici e si è abbandonata a decisioni tutte politiche, dal sapore di perenne campagna elettorale”, dichiara Raffaello Giacchetti, presidente di GIS.
Il portavoce ed avvocato Giovanni Sicari aggiunge: “Gli atti regionali (normativi e di amministrazione) sono spesso sciatti e malscritti, irragionevoli e contraddittori rispetto ad altre norme regionali o a quelle nazionali. Finiscono così per essere puntualmente annullati o smentiti dai Tribunali amministrativi di competenza. Se non vi sarà un cambiamento di rotta e di spirito, in Regione dovranno rassegnarsi a occuparsi non della pianificazione di un futuro sano per il territorio, ma piuttosto delle cause di responsabilità e dei risarcimenti per i danni che questi atti illegittimi hanno prodotto. Anche se certi danni, come quelli ambientali ed energetici, che conseguono al mancato armonico e sano sviluppo delle energie rinnovabili, difficilmente potranno essere riparati per via risarcitoria”.
Abbiamo chiesto a Giovanni Sicari, avvocato e portavoce di GIS, di fare un bilancio del 2022 e questo inizio di 2023. Di seguito quello che ci ha raccontato.
Complessivamente il 2022 è stato un anno mediamente buono, segnato da alti e bassi (bassi non per causa nostra ma per colpa dell’ostruzionismo delle istituzioni). Partiamo dai momenti positivi: a marzo 2022, dopo 3 anni di battaglie legali, il Consiglio di Stato ha dato il via libera alla realizzazione di due nostri impianti nel viterbese da 235 MW in totale, bloccati dal 2019 a causa dell’opposizione della Soprintendenza. La sentenza del Consiglio di Stato per noi ha significato una svolta positiva perché ci ha dato definitivamente ragione, e abbiamo sperato che potesse indicare un vero cambio di rotta nell’approccio del Paese alle FER. In effetti il Consiglio dei Ministri del governo Draghi ha poi approvato un decreto-legge (D.L. n.34/2022) che introduceva nuove misure urgenti con l’obiettivo di semplificare ulteriormente i procedimenti autorizzativi per la realizzazione di nuovi impianti e potenziare così la produzione energetica nazionale.
Eppure questi interventi non sono bastati. E qui veniamo agli aspetti critici: in molte regioni le istituzioni e Soprintendenze locali hanno continuato a proporre nuovi vincoli. Non solo: a luglio è stata introdotta la Verifica Preventiva di Interesse Archeologico (VPIA) tra i passaggi preliminari alla VIA, aggiungendo così un nuovo e pesante tassello all’iter autorizzativo e rimettendo il potere nelle mani del Ministero della Cultura.
Il 2023 è iniziato nel segno di questo nuovo grande ostacolo della VPIA, con l’intero settore che si è movimentato per spiegare al governo la serietà della situazione. GIS si è esposta direttamente col Ministero dell’Ambiente e Sicurezza Energetica che – io, il portavoce e avvocato di GIS, Giovanni Sicari e un nostro preparatissimo ingegnere ambientale, Marco Grande – abbiamo incontrato a metà febbraio. Ebbene, pochi giorni dopo, il decreto di cui circolava una bozza è stato approvato e contiene concrete semplificazioni per i nuovi impianti di rinnovabili. E, soprattutto, pone rimedio al grosso problema della VPIA. Perciò, nonostante l’inizio di anno molto incerto per noi, ora vediamo una strada in discesa.
Nonostante le energie rinnovabili rappresentino un’importante opportunità per contrastare i cambiamenti climatici e ridurre la dipendenza energetica del nostro Paese, c’è chi manifesta ancora molti dubbi e scetticismo a riguardo.
C’è chi crede, ad esempio, che le energie rinnovabili rappresentino un rischio per l’ambiente e per i terreni agricoli; chi invece pensa che la transizione energetica porterà alla perdita di numerosi posti di lavoro; ancora, chi ritiene che la produzione dei pannelli fotovoltaici abbia un impatto ambientale che ne vanifica l’efficacia in termini di riduzione delle emissioni di CO2.
In questo articolo noi di GIS vogliamo fare chiarezza e sfatare alcuni falsi miti che riguardano proprio il settore delle energie rinnovabili.
La transizione energetica toglierà numerosi posti di lavoro. FALSO
In Italia solo in pochi vedono il settore delle energie rinnovabili come un’opportunità per creare occupazione. Eppure, secondo un’indagine del CENSIS per ASSOSOMM (Associazione Italiana delle Agenzie per il Lavoro), con le energie rinnovabili nei prossimi 4 anni si potrebbero generare ben 150mila nuovi posti di lavoro tra tecnici, elettricisti, consulenti, installatori e designer.
Ma anche professionisti con competenze trasversali o legati al risparmio energetico come figure manageriali, geometri ambientali, tecnici ecologici e manutentori potranno cogliere importanti opportunità lavorative con lo sviluppo delle energie rinnovabili.
Infine non si può tralasciare, soprattutto in un Paese come l’Italia, il settore agrivoltaico per il quale serviranno figure professionali esperte in grado di realizzare e gestire impianti fotovoltaici in contesti agricoli.
Fig.1 Le energie rinnovabili rappresentano un’opportunità per creare occupazione nel nostro Paese.
Le energie rinnovabili rubano suolo all’agricoltura e non tutelano la biodiversità. FALSO
Il rapporto Solar, Biodiversity, Land Use: Best Practice Guidelines dell’associazione europea SolarPower Europe parla chiaro: il fotovoltaico, se ben progettato, può essere uno strumento utile per tutelare la biodiversità, salvaguardare il clima e gli ecosistemi ed abbattere le emissioni di CO2.
La scelta del sito di installazione se ben ponderata, unitamente a un’accurata disposizione dei pannelli fotovoltaici, può infatti contribuire alla valorizzazione della flora e della fauna locali.
Esistono due tipi di fotovoltaico sostenibile per la tutela del suolo: l’agrivoltaico e il fotovoltaico galleggiante, che offre benefici per gli ecosistemi acquatici. Mentre il galleggiante richiede ulteriore ricerca e sviluppo tecnologico affinché possa essere impiegato su larga scala, l’agrivoltaico è un sistema ampiamente messo in pratica e prevede un doppio utilizzo del suolo: a fine energetico e agricolo.
L’ombreggiamento generato dai moduli fotovoltaici contribuisce infatti alla crescita della flora anche nei climi più ostili e secchi. Di conseguenza la presenza di vegetazione favorisce a sua volta la cattura del carbonio e il ciclo dell’azoto, con effetti positivi sulla fauna.
Fig.2 L’ombreggiamento generato dai moduli fotovoltaici contribuisce alla crescita della flora anche nei climi più ostili e secchi
Tra i detrattori della tecnologica fotovoltaica c’è chi sostiene che la loro produzione e smaltimento abbiano un impatto ambientale che ne vanifica l’efficacia in termini di riduzione delle emissioni di CO2. FALSO . FALSO
Anche questa affermazione è infondata. Un recentissimo rapporto della International Energy Agency (IEA) afferma: “i pannelli solari devono funzionare solo per 4-8 mesi per compensare le loro emissioni di produzione a fronte di una durata media del pannello di circa 25-30 anni”.
Molti studi stimano infatti che l’impatto complessivo in termini di emissioni del fotovoltaico sia fortemente correlato al luogo di produzione dei moduli e alla località in cui questi vengono installati. Va detto che a oggi il 70% della produzione mondiale fotovoltaica proviene dalla Cina che ha un livello di emissioni chiaramente superiore rispetto alla produzione in altri Paesi, ma con un impatto comunque inferiore di 5-15 volte rispetto a quello delle centrali termoelettriche.
Inoltre, tra il 2015 e il 2020, le emissioni connesse alla produzione di sistemi solari in silicio monocristallino (tecnologia che rappresenta ormai larga parte del mercato mondiale) nel contesto elettrico cinese si sono praticamente dimezzate.
Anche il Carbon Border Adjustment Mechanism, cioè la tassazione prevista per le future importazioni in Europa in relazione al loro contenuto di carbonio, spingerà le imprese che vorranno vendere sul mercato UE a ridurre la loro impronta di carbonio. Questo spiega perché un numero crescente di aziende fotovoltaiche cinesi stia puntando ad un’alimentazione da fonti rinnovabili.
Infine, quando un impianto fotovoltaico finisce la propria vita utile o deve essere dismesso per una qualsiasi ragione, entrano in gioco diverse modalità per il recupero dei materiali che compongono i moduli, che possono quindi essere utilizzati per ulteriori realizzazioni. Perciò il fotovoltaico, al contrario di quello che si pensa, è rispettoso dell’ambiente e, a seconda dei casi, di ogni pannello viene riciclata una percentuale tra l’80 ed il 90%.
Molti detrattori del fotovoltaico sostengono che una rete che si basi prevalentemente sulle energie rinnovabili sia poco affidabile. FALSO.
Per smentire questa affermazione basta prendere il SAIDI – System Average Interruption Duration Index – che misura la durata totale media delle interruzioni (in ore) sperimentata da ciascun Paese in un anno, ed è comunemente utilizzato per valutare quantitativamente l’affidabilità delle reti elettriche.
Ecco un esempio concreto. In Germania, dove le energie rinnovabili forniscono quasi la metà dell’elettricità del Paese, nel 2021 il valore del SAIDI era di sole 0,12 ore mentre per
Francia e Svezia, nazioni maggiormente dipendenti dall’energia nucleare, i valori salgono rispettivamente a 0,35 e a 0,61 ore.
I fatti, e non le parole, confermano ancora una volta come le fonti rinnovabili siano affidabili, economiche ed ecologiche.
Non è facile fare chiarezza su uno dei problemi più annosi del nostro Paese: la burocrazia. Nel caso delle energie rinnovabili, parlare di burocrazia equivale a dire tempi dilatati tra la presentazione di un progetto e la sua messa in opera, a causa delle lungaggini degli iter autorizzativi.
Ma partiamo da una certezza. Il Governo italiano, se vuole raggiungere gli obiettivi condivisi con l’UE, deve attuare in tempi rapidi un piano di decarbonizzazione del settore energetico, installando entro il 2030 almeno 70 GW di potenza da fonti rinnovabili. Solo così il nostro Paese potrà contribuire a ridurre del 55% le emissioni di gas serra. Se andiamo avanti di questo passo, però, con i suoi 0,8 GW di potenza media annua installata negli ultimi 7 anni, l’Italia rischia di raggiungere questo traguardo non prima del 2100.
Ma qual è l’ostacolo che frena sull’acceleratore in materia di energie rinnovabili? Sicuramente i troppi vincoli e i numerosi blocchi da parte di Amministrazioni Comunali, Regionali senza dimenticare il ruolo del Ministero della Cultura e delle sue Soprintendenze.
Oltre a ritardare il raggiungimento degli obiettivi europei, l’aumento dei tempi per la realizzazione degli impianti fotovoltaici rischia di portare a conclusione progetti tecnologicamente superati, che richiedono necessariamente una variante dal punto di vista autorizzativo e di conseguenza ulteriori dilatazioni dei tempi.
Fig. 1 L’iter autorizzativo di un impianto fotovoltaico
Iter autorizzativi degli impianti fotovoltaici: tipologie ed enti coinvolti
Sicuramente la mancanza di un quadro normativo unico e chiaro è tra le prime criticità che investono lo sviluppo delle Fonti Energetiche Rinnovabili in Italia. Ma non solo, basti pensare che il principale riferimento in materia è il Decreto Interministeriale del 10 settembre 2010, un testo che ha ormai 12 anni e che risulta obsoleto sotto diversi punti di vista, perché emanato in un momento in cui lo sviluppo delle energie rinnovabili nel nostro Paese era solo agli inizi.
A questo si aggiunge il fatto che il Decreto Ministeriale in questione non è considerato da tutti gli enti coinvolti nell’iter autorizzativo, che di conseguenza agiscono ciascuno in modo indipendente e scollegato dagli altri.
Vediamo di seguito le tre tipologie di iter autorizzativi a cui può essere sottoposto un impianto per la sua messa in opera:
Autorizzazione Unica (AU): interessa impianti che eccedono prefissate soglie di potenza (dai 20 KW in su). L’iter autorizzativo ha una durata massima di 90 giorni escludendo i tempi per la Valutazione di Impatto Ambientale nel caso fosse necessaria. L’autorizzazione è rilasciata delle Regioni o delle Province coinvolte.
Procedura Abilitativa Semplificata (PAS): per gli impianti con potenza inferiore a quella prevista per l’Autorizzazione Unica, è di competenza del Comune. Il progetto va presentato almeno 30 giorni prima dell’inizio dei lavori per verificare la compatibilità dell’impianto con gli strumenti urbanistici e i regolamenti edilizi vigenti.
Comunicazione al Comune: è l’iter autorizzativo semplificato dedicato ai piccoli impianti di energie rinnovabili che deve essere accompagnato da una dettagliata relazione redatta da un progettista abilitato. In questo caso non è necessario attendere il decorso dei trenta giorni prima di iniziare i lavori.
Fino a qui sembrerebbe che tutta la procedura sia chiara e snella in realtà tutti i processi sopra elencati hanno il grande svantaggio di avere una frammentazione delle competenze. In tema di Autorizzazione Unica, ad esempio, sono solo 12 le Regioni che esercitano la piena funzione autorizzativa, 4 quelle che prevedono una competenza combinata tra Regione e Province e 3 quelle che prevedono la delega totale alle Province, tra queste Lazio e Liguria.
In tema di Valutazione d’Impatto Ambientale, invece, le competenze sono prevalentemente regionali fatta eccezione per le province di Trento e Bolzano e delle regioni Piemonte, Lombardia, Marche e Puglia che prevedono competenze ripartire fra Regioni e relative Province.
Ma non finisce qua. Come dicevamo sopra, l’iter autorizzativo da seguire per gli impianti di energie rinnovabili dipende anche dalla potenza dell’impianto e dalla sua collocazione. In relazione al variare di questi due fattori, si possono avere percorsi autorizzativi complessi (competenza nazionale e/o regionale) o, almeno in teoria, semplificati (competenza regionale e/o comunale).
Il peso dell’individuazione delle aree idonee e la verifica di Assoggettabilità sui tempi di realizzazione degli impianti
Due ulteriori aspetti particolarmente importanti associati agli iter autorizzativi sono l’individuazione delle aree idonee e la Verifica di Assoggettabilità. La prima consiste nella facoltà che hanno le Regioni di individuare aree non idonee all’installazione di specifiche tipologie di impianto. Fino ad oggi, sono 13 le Regioni che si sono espresse su solare fotovoltaico (vedi Fig.3).
La Verifica di Assoggettabilità (VA), ovvero la procedura valutativa finalizzata a stabilire se un progetto, sulla base dei sui potenziali impatti negativi, deve essere sottoposto a Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA), è un procedimento particolarmente articolato in termini di competenze.
Se la distinzione di competenze fra Stato e Regioni in tema di VIA è abbastanza chiara, la cosa si complica a livello regionale e provinciale. Le Regioni, infatti, hanno la possibilità di delegare le funzioni valutative alle province.
Come conseguenza, il panorama nazionale, allo stato attuale, è caratterizzato da due casistiche:
Esclusiva attribuzione delle funzioni all’amministrazione regionale.
Ripartizione delle funzioni fra amministrazione regionale e provinciali sulla base della tipologia d’impianto.
Per quanto riguarda questo secondo caso, sono 7 le Regioni italiane che hanno deciso di delegare alcune delle funzioni di valutazione ambientale alle proprie Province. In tutto, fra Regioni e Province, sono ben 68 le amministrazioni competenti in tema di VIA a livello nazionale. Una delle criticità dell’iter di Verifica d’Assoggettabilità e di Valutazione d’Impatto Ambientale è dato dalla discrezionalità che le Regioni possono operare nel limitare o ampliare la lista di progetti che devono essere sottoposti all’una, all’altra o ad entrambe le valutazioni.
Queste sono solo le più significative delle facoltà delegate alle Regioni, che nella maggior parte dei casi operano scelte di carattere conservativo finalizzate ad ampliare le casistiche di progetti soggetti a VIA, che hanno come effetto quello di complicare le procedure burocratiche e quindi allungare drasticamente i tempi.
Quello che è evidente è che la diversità nell’affidamento delle competenze in materia autorizzativa, e soprattutto in sede di valutazione ambientale, siano elementi di complessità burocratica che, seppure in alcuni casi siano effettivamente finalizzati ad una migliore tutela dell’ambiente, nella maggior parte dei casi costituiscono elemento di blocco indiscriminato o quantomeno di grave rallentamento nell’iter di approvazione di nuove opere rinnovabili.
Ricordando che fino al 2021 era almeno possibile autorizzare la maggior parte dei progetti accorpando VIA e AU in un unico procedimento, per l’appunto detto “procedimento autorizzativo unico regionale”, che ora è destinato solo a impianti di potenza relativamente modesta. Per gli impianti più grandi, quelli che realmente possono dare un apporto percepibile rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione, si dovrà prima procedere con VIA nazionale, con infinite lungaggini, e solo all’esito si potrà attivare il procedimento autorizzativo vero e proprio, con mille incognite e avanti ad autorità parzialmente e sensibilmente diverse (a livello regionale o provinciale).
Verifica preventiva di interesse archeologico: un nuovo ostacolo voluto dal Mite per frenare le rinnovabili
A settembre di quest’anno il Mite ha deciso di aggiornare la modulistica relativa alla presentazione dell’istanza di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). La legge n. 91/2022 prevede infatti che da ora in poi, nella documentazione da presentare per avviare richiesta di VIA, dovrà essere inserito anche l’atto di verifica preventiva di interesse archeologico (VIARC). Il punto non è ottenere il documento in sé, ma il fatto che la VIARC prevede in iter articolato in tre potenziali fasi, di cui la prima è di prassi, mentre le atre derivano dai contenuti dell’espressione della Sovrintendenza competente, e possono prevedere l’esecuzione di scavi archeologici preventivi (supervisionati da rappresentanti incaricati dal Ministero della Cultura).
In contrasto con gli sbandierati interventi di semplificazione, introdurre la richiesta di VIARC significa complicare notevolmente l’iter autorizzativo. Fare scavi archeologici richiede l’apertura di un cantiere e un intervento invasivo sul terreno. Il proprietario di un pezzo di terra che lo vuole valorizzare, facendoci costruire da terzi un impianto solare, spesso non è disposto a farsi sviscerare un terreno nella speranza che dopo anni possa forse venire approvato l’impianto. Allo stesso modo, le imprese non possono permettersi di acquistare il terreno e assumersi il rischio di fare scavi, senza garanzia di un ritorno dell’investimento dovuto all’esistenza di un progetto autorizzato.
Conclusioni
GIS è pienamente consapevole che il paesaggio sia un bene comune da tutelare ma è inconcepibile pensare allo sviluppo delle energie rinnovabili senza che la loro presenza impatti minimamente sul
territorio. Siamo altresì convinti che la transizione ecologica in un paese come l’Italia possa apportare un notevole valore aggiunto, con rinnovabili ottimamente integrate, produzione di energia pulita e la creazione di nuovi posti di lavoro. Tutto questo sarà però possibile solo attraverso la semplificazione dell’iter autorizzativo.
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