Energie rinnovabili: quando la complessità degli iter autorizzativi rischia di bloccare l’Italia

Non è facile fare chiarezza su uno dei problemi più annosi del nostro Paese: la burocrazia. Nel caso delle energie rinnovabili, parlare di burocrazia equivale a dire tempi dilatati tra la presentazione di un progetto e la sua messa in opera, a causa delle lungaggini degli iter autorizzativi.

Ma partiamo da una certezza. Il Governo italiano, se vuole raggiungere gli obiettivi condivisi con l’UE, deve attuare in tempi rapidi un piano di decarbonizzazione del settore energetico, installando entro il 2030 almeno 70 GW di potenza da fonti rinnovabili. Solo così il nostro Paese potrà contribuire a ridurre del 55% le emissioni di gas serra. Se andiamo avanti di questo passo, però, con i suoi 0,8 GW di potenza media annua installata negli ultimi 7 anni, l’Italia rischia di raggiungere questo traguardo non prima del 2100.

Ma qual è l’ostacolo che frena sull’acceleratore in materia di energie rinnovabili? Sicuramente i troppi vincoli e i numerosi blocchi da parte di Amministrazioni Comunali, Regionali senza dimenticare il ruolo del Ministero della Cultura e delle sue Soprintendenze.

Oltre a ritardare il raggiungimento degli obiettivi europei, l’aumento dei tempi per la realizzazione degli impianti fotovoltaici rischia di portare a conclusione progetti tecnologicamente superati, che richiedono necessariamente una variante dal punto di vista autorizzativo e di conseguenza ulteriori dilatazioni dei tempi.

Fig. 1 L’iter autorizzativo di un impianto fotovoltaico

Iter autorizzativi degli impianti fotovoltaici: tipologie ed enti coinvolti

Sicuramente la mancanza di un quadro normativo unico e chiaro è tra le prime criticità che investono lo sviluppo delle Fonti Energetiche Rinnovabili in Italia. Ma non solo, basti pensare che il principale riferimento in materia è il Decreto Interministeriale del 10 settembre 2010, un testo che ha ormai 12 anni e che risulta obsoleto sotto diversi punti di vista, perché emanato in un momento in cui lo sviluppo delle energie rinnovabili nel nostro Paese era solo agli inizi.

A questo si aggiunge il fatto che il Decreto Ministeriale in questione non è considerato da tutti gli enti coinvolti nell’iter autorizzativo, che di conseguenza agiscono ciascuno in modo indipendente e scollegato dagli altri.

Vediamo di seguito le tre tipologie di iter autorizzativi a cui può essere sottoposto un impianto per la sua messa in opera:

  1. Autorizzazione Unica (AU): interessa impianti che eccedono prefissate soglie di potenza (dai 20 KW in su). L’iter autorizzativo ha una durata massima di 90 giorni escludendo i tempi per la Valutazione di Impatto Ambientale nel caso fosse necessaria. L’autorizzazione è rilasciata delle Regioni o delle Province coinvolte.
  1. Procedura Abilitativa Semplificata (PAS): per gli impianti con potenza inferiore a quella prevista per l’Autorizzazione Unica, è di competenza del Comune. Il progetto va presentato almeno 30 giorni prima dell’inizio dei lavori per verificare la compatibilità dell’impianto con gli strumenti urbanistici e i regolamenti edilizi vigenti.
  1. Comunicazione al Comune: è l’iter autorizzativo semplificato dedicato ai piccoli impianti di energie rinnovabili che deve essere accompagnato da una dettagliata relazione redatta da un progettista abilitato. In questo caso non è necessario attendere il decorso dei trenta giorni prima di iniziare i lavori.

Fino a qui sembrerebbe che tutta la procedura sia chiara e snella in realtà tutti i processi sopra elencati hanno il grande svantaggio di avere una frammentazione delle competenze. In tema di Autorizzazione Unica, ad esempio, sono solo 12 le Regioni che esercitano la piena funzione autorizzativa, 4 quelle che prevedono una competenza combinata tra Regione e Province e 3 quelle che prevedono la delega totale alle Province, tra queste Lazio e Liguria.

In tema di Valutazione d’Impatto Ambientale, invece, le competenze sono prevalentemente regionali fatta eccezione per le province di Trento e Bolzano e delle regioni Piemonte, Lombardia, Marche e Puglia che prevedono competenze ripartire fra Regioni e relative Province.

Ma non finisce qua. Come dicevamo sopra, l’iter autorizzativo da seguire per gli impianti di energie rinnovabili dipende anche dalla potenza dell’impianto e dalla sua collocazione. In relazione al variare di questi due fattori, si possono avere percorsi autorizzativi complessi (competenza nazionale e/o regionale) o, almeno in teoria, semplificati (competenza regionale e/o comunale).

Il peso dell’individuazione delle aree idonee e la verifica di Assoggettabilità sui tempi di realizzazione degli impianti

Due ulteriori aspetti particolarmente importanti associati agli iter autorizzativi sono l’individuazione delle aree idonee e la Verifica di Assoggettabilità. La prima consiste nella facoltà che hanno le Regioni di individuare aree non idonee all’installazione di specifiche tipologie di impianto. Fino ad oggi, sono 13 le Regioni che si sono espresse su solare fotovoltaico (vedi Fig.3).

La Verifica di Assoggettabilità (VA), ovvero la procedura valutativa finalizzata a stabilire se un progetto, sulla base dei sui potenziali impatti negativi, deve essere sottoposto a Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA), è un procedimento particolarmente articolato in termini di competenze.

Se la distinzione di competenze fra Stato e Regioni in tema di VIA è abbastanza chiara, la cosa si complica a livello regionale e provinciale. Le Regioni, infatti, hanno la possibilità di delegare le funzioni valutative alle province.

Come conseguenza, il panorama nazionale, allo stato attuale, è caratterizzato da due casistiche:

  • Esclusiva attribuzione delle funzioni all’amministrazione regionale.
  • Ripartizione delle funzioni fra amministrazione regionale e provinciali sulla base della tipologia d’impianto.

Per quanto riguarda questo secondo caso, sono 7 le Regioni italiane che hanno deciso di delegare alcune delle funzioni di valutazione ambientale alle proprie Province. In tutto, fra Regioni e Province, sono ben 68 le amministrazioni competenti in tema di VIA a livello nazionale. Una delle criticità dell’iter di Verifica d’Assoggettabilità e di Valutazione d’Impatto Ambientale è dato dalla discrezionalità che le Regioni possono operare nel limitare o ampliare la lista di progetti che devono essere sottoposti all’una, all’altra o ad entrambe le valutazioni.

Queste sono solo le più significative delle facoltà delegate alle Regioni, che nella maggior parte dei casi operano scelte di carattere conservativo finalizzate ad ampliare le casistiche di progetti soggetti a VIA, che hanno come effetto quello di complicare le procedure burocratiche e quindi allungare drasticamente i tempi.

Quello che è evidente è che la diversità nell’affidamento delle competenze in materia autorizzativa, e soprattutto in sede di valutazione ambientale, siano elementi di complessità burocratica che, seppure in alcuni casi siano effettivamente finalizzati ad una migliore tutela dell’ambiente, nella maggior parte dei casi costituiscono elemento di blocco indiscriminato o quantomeno di grave rallentamento nell’iter di approvazione di nuove opere rinnovabili.

Ricordando che fino al 2021 era almeno possibile autorizzare la maggior parte dei progetti accorpando VIA e AU in un unico procedimento, per l’appunto detto “procedimento autorizzativo unico regionale”, che ora è destinato solo a impianti di potenza relativamente modesta. Per gli impianti più grandi, quelli che realmente possono dare un apporto percepibile rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione, si dovrà prima procedere con VIA nazionale, con infinite lungaggini, e solo all’esito si potrà attivare il procedimento autorizzativo vero e proprio, con mille incognite e avanti ad autorità parzialmente e sensibilmente diverse (a livello regionale o provinciale).

Verifica preventiva di interesse archeologico: un nuovo ostacolo voluto dal Mite per frenare le rinnovabili

A settembre di quest’anno il Mite ha deciso di aggiornare la modulistica relativa alla presentazione dell’istanza di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). La legge n. 91/2022 prevede infatti che da ora in poi, nella documentazione da presentare per avviare richiesta di VIA, dovrà essere inserito anche l’atto di verifica preventiva di interesse archeologico (VIARC). Il punto non è ottenere il documento in sé, ma il fatto che la VIARC prevede in iter articolato in tre potenziali fasi, di cui la prima è di prassi, mentre le atre derivano dai contenuti dell’espressione della Sovrintendenza competente, e possono prevedere l’esecuzione di scavi archeologici preventivi (supervisionati da rappresentanti incaricati dal Ministero della Cultura).

In contrasto con gli sbandierati interventi di semplificazione, introdurre la richiesta di VIARC significa complicare notevolmente l’iter autorizzativo. Fare scavi archeologici richiede l’apertura di un cantiere e un intervento invasivo sul terreno. Il proprietario di un pezzo di terra che lo vuole valorizzare, facendoci costruire da terzi un impianto solare, spesso non è disposto a farsi sviscerare un terreno nella speranza che dopo anni possa forse venire approvato l’impianto. Allo stesso modo, le imprese non possono permettersi di acquistare il terreno e assumersi il rischio di fare scavi, senza garanzia di un ritorno dell’investimento dovuto all’esistenza di un progetto autorizzato.

Conclusioni

GIS è pienamente consapevole che il paesaggio sia un bene comune da tutelare ma è inconcepibile pensare allo sviluppo delle energie rinnovabili senza che la loro presenza impatti minimamente sul

territorio. Siamo altresì convinti che la transizione ecologica in un paese come l’Italia possa apportare un notevole valore aggiunto, con rinnovabili ottimamente integrate, produzione di energia pulita e la creazione di nuovi posti di lavoro. Tutto questo sarà però possibile solo attraverso la semplificazione dell’iter autorizzativo.