Abbiamo chiesto a Giovanni Sicari, avvocato e portavoce di GIS, di fare un bilancio del 2022 e questo inizio di 2023. Di seguito quello che ci ha raccontato.
Complessivamente il 2022 è stato un anno mediamente buono, segnato da alti e bassi (bassi non per causa nostra ma per colpa dell’ostruzionismo delle istituzioni). Partiamo dai momenti positivi: a marzo 2022, dopo 3 anni di battaglie legali, il Consiglio di Stato ha dato il via libera alla realizzazione di due nostri impianti nel viterbese da 235 MW in totale, bloccati dal 2019 a causa dell’opposizione della Soprintendenza. La sentenza del Consiglio di Stato per noi ha significato una svolta positiva perché ci ha dato definitivamente ragione, e abbiamo sperato che potesse indicare un vero cambio di rotta nell’approccio del Paese alle FER. In effetti il Consiglio dei Ministri del governo Draghi ha poi approvato un decreto-legge (D.L. n.34/2022) che introduceva nuove misure urgenti con l’obiettivo di semplificare ulteriormente i procedimenti autorizzativi per la realizzazione di nuovi impianti e potenziare così la produzione energetica nazionale.
Eppure questi interventi non sono bastati. E qui veniamo agli aspetti critici: in molte regioni le istituzioni e Soprintendenze locali hanno continuato a proporre nuovi vincoli. Non solo: a luglio è stata introdotta la Verifica Preventiva di Interesse Archeologico (VPIA) tra i passaggi preliminari alla VIA, aggiungendo così un nuovo e pesante tassello all’iter autorizzativo e rimettendo il potere nelle mani del Ministero della Cultura.
Il 2023 è iniziato nel segno di questo nuovo grande ostacolo della VPIA, con l’intero settore che si è movimentato per spiegare al governo la serietà della situazione. GIS si è esposta direttamente col Ministero dell’Ambiente e Sicurezza Energetica che – io, il portavoce e avvocato di GIS, Giovanni Sicari e un nostro preparatissimo ingegnere ambientale, Marco Grande – abbiamo incontrato a metà febbraio. Ebbene, pochi giorni dopo, il decreto di cui circolava una bozza è stato approvato e contiene concrete semplificazioni per i nuovi impianti di rinnovabili. E, soprattutto, pone rimedio al grosso problema della VPIA. Perciò, nonostante l’inizio di anno molto incerto per noi, ora vediamo una strada in discesa.
Nonostante le energie rinnovabili rappresentino un’importante opportunità per contrastare i cambiamenti climatici e ridurre la dipendenza energetica del nostro Paese, c’è chi manifesta ancora molti dubbi e scetticismo a riguardo.
C’è chi crede, ad esempio, che le energie rinnovabili rappresentino un rischio per l’ambiente e per i terreni agricoli; chi invece pensa che la transizione energetica porterà alla perdita di numerosi posti di lavoro; ancora, chi ritiene che la produzione dei pannelli fotovoltaici abbia un impatto ambientale che ne vanifica l’efficacia in termini di riduzione delle emissioni di CO2.
In questo articolo noi di GIS vogliamo fare chiarezza e sfatare alcuni falsi miti che riguardano proprio il settore delle energie rinnovabili.
La transizione energetica toglierà numerosi posti di lavoro. FALSO
In Italia solo in pochi vedono il settore delle energie rinnovabili come un’opportunità per creare occupazione. Eppure, secondo un’indagine del CENSIS per ASSOSOMM (Associazione Italiana delle Agenzie per il Lavoro), con le energie rinnovabili nei prossimi 4 anni si potrebbero generare ben 150mila nuovi posti di lavoro tra tecnici, elettricisti, consulenti, installatori e designer.
Ma anche professionisti con competenze trasversali o legati al risparmio energetico come figure manageriali, geometri ambientali, tecnici ecologici e manutentori potranno cogliere importanti opportunità lavorative con lo sviluppo delle energie rinnovabili.
Infine non si può tralasciare, soprattutto in un Paese come l’Italia, il settore agrivoltaico per il quale serviranno figure professionali esperte in grado di realizzare e gestire impianti fotovoltaici in contesti agricoli.
Fig.1 Le energie rinnovabili rappresentano un’opportunità per creare occupazione nel nostro Paese.
Le energie rinnovabili rubano suolo all’agricoltura e non tutelano la biodiversità. FALSO
Il rapporto Solar, Biodiversity, Land Use: Best Practice Guidelines dell’associazione europea SolarPower Europe parla chiaro: il fotovoltaico, se ben progettato, può essere uno strumento utile per tutelare la biodiversità, salvaguardare il clima e gli ecosistemi ed abbattere le emissioni di CO2.
La scelta del sito di installazione se ben ponderata, unitamente a un’accurata disposizione dei pannelli fotovoltaici, può infatti contribuire alla valorizzazione della flora e della fauna locali.
Esistono due tipi di fotovoltaico sostenibile per la tutela del suolo: l’agrivoltaico e il fotovoltaico galleggiante, che offre benefici per gli ecosistemi acquatici. Mentre il galleggiante richiede ulteriore ricerca e sviluppo tecnologico affinché possa essere impiegato su larga scala, l’agrivoltaico è un sistema ampiamente messo in pratica e prevede un doppio utilizzo del suolo: a fine energetico e agricolo.
L’ombreggiamento generato dai moduli fotovoltaici contribuisce infatti alla crescita della flora anche nei climi più ostili e secchi. Di conseguenza la presenza di vegetazione favorisce a sua volta la cattura del carbonio e il ciclo dell’azoto, con effetti positivi sulla fauna.
Fig.2 L’ombreggiamento generato dai moduli fotovoltaici contribuisce alla crescita della flora anche nei climi più ostili e secchi
Tra i detrattori della tecnologica fotovoltaica c’è chi sostiene che la loro produzione e smaltimento abbiano un impatto ambientale che ne vanifica l’efficacia in termini di riduzione delle emissioni di CO2. FALSO . FALSO
Anche questa affermazione è infondata. Un recentissimo rapporto della International Energy Agency (IEA) afferma: “i pannelli solari devono funzionare solo per 4-8 mesi per compensare le loro emissioni di produzione a fronte di una durata media del pannello di circa 25-30 anni”.
Molti studi stimano infatti che l’impatto complessivo in termini di emissioni del fotovoltaico sia fortemente correlato al luogo di produzione dei moduli e alla località in cui questi vengono installati. Va detto che a oggi il 70% della produzione mondiale fotovoltaica proviene dalla Cina che ha un livello di emissioni chiaramente superiore rispetto alla produzione in altri Paesi, ma con un impatto comunque inferiore di 5-15 volte rispetto a quello delle centrali termoelettriche.
Inoltre, tra il 2015 e il 2020, le emissioni connesse alla produzione di sistemi solari in silicio monocristallino (tecnologia che rappresenta ormai larga parte del mercato mondiale) nel contesto elettrico cinese si sono praticamente dimezzate.
Anche il Carbon Border Adjustment Mechanism, cioè la tassazione prevista per le future importazioni in Europa in relazione al loro contenuto di carbonio, spingerà le imprese che vorranno vendere sul mercato UE a ridurre la loro impronta di carbonio. Questo spiega perché un numero crescente di aziende fotovoltaiche cinesi stia puntando ad un’alimentazione da fonti rinnovabili.
Infine, quando un impianto fotovoltaico finisce la propria vita utile o deve essere dismesso per una qualsiasi ragione, entrano in gioco diverse modalità per il recupero dei materiali che compongono i moduli, che possono quindi essere utilizzati per ulteriori realizzazioni. Perciò il fotovoltaico, al contrario di quello che si pensa, è rispettoso dell’ambiente e, a seconda dei casi, di ogni pannello viene riciclata una percentuale tra l’80 ed il 90%.
Molti detrattori del fotovoltaico sostengono che una rete che si basi prevalentemente sulle energie rinnovabili sia poco affidabile. FALSO.
Per smentire questa affermazione basta prendere il SAIDI – System Average Interruption Duration Index – che misura la durata totale media delle interruzioni (in ore) sperimentata da ciascun Paese in un anno, ed è comunemente utilizzato per valutare quantitativamente l’affidabilità delle reti elettriche.
Ecco un esempio concreto. In Germania, dove le energie rinnovabili forniscono quasi la metà dell’elettricità del Paese, nel 2021 il valore del SAIDI era di sole 0,12 ore mentre per
Francia e Svezia, nazioni maggiormente dipendenti dall’energia nucleare, i valori salgono rispettivamente a 0,35 e a 0,61 ore.
I fatti, e non le parole, confermano ancora una volta come le fonti rinnovabili siano affidabili, economiche ed ecologiche.
Non è facile fare chiarezza su uno dei problemi più annosi del nostro Paese: la burocrazia. Nel caso delle energie rinnovabili, parlare di burocrazia equivale a dire tempi dilatati tra la presentazione di un progetto e la sua messa in opera, a causa delle lungaggini degli iter autorizzativi.
Ma partiamo da una certezza. Il Governo italiano, se vuole raggiungere gli obiettivi condivisi con l’UE, deve attuare in tempi rapidi un piano di decarbonizzazione del settore energetico, installando entro il 2030 almeno 70 GW di potenza da fonti rinnovabili. Solo così il nostro Paese potrà contribuire a ridurre del 55% le emissioni di gas serra. Se andiamo avanti di questo passo, però, con i suoi 0,8 GW di potenza media annua installata negli ultimi 7 anni, l’Italia rischia di raggiungere questo traguardo non prima del 2100.
Ma qual è l’ostacolo che frena sull’acceleratore in materia di energie rinnovabili? Sicuramente i troppi vincoli e i numerosi blocchi da parte di Amministrazioni Comunali, Regionali senza dimenticare il ruolo del Ministero della Cultura e delle sue Soprintendenze.
Oltre a ritardare il raggiungimento degli obiettivi europei, l’aumento dei tempi per la realizzazione degli impianti fotovoltaici rischia di portare a conclusione progetti tecnologicamente superati, che richiedono necessariamente una variante dal punto di vista autorizzativo e di conseguenza ulteriori dilatazioni dei tempi.
Iter autorizzativi degli impianti fotovoltaici: tipologie ed enti coinvolti
Sicuramente la mancanza di un quadro normativo unico e chiaro è tra le prime criticità che investono lo sviluppo delle Fonti Energetiche Rinnovabili in Italia. Ma non solo, basti pensare che il principale riferimento in materia è il Decreto Interministeriale del 10 settembre 2010, un testo che ha ormai 12 anni e che risulta obsoleto sotto diversi punti di vista, perché emanato in un momento in cui lo sviluppo delle energie rinnovabili nel nostro Paese era solo agli inizi.
A questo si aggiunge il fatto che il Decreto Ministeriale in questione non è considerato da tutti gli enti coinvolti nell’iter autorizzativo, che di conseguenza agiscono ciascuno in modo indipendente e scollegato dagli altri.
Vediamo di seguito le tre tipologie di iter autorizzativi a cui può essere sottoposto un impianto per la sua messa in opera:
Autorizzazione Unica (AU): interessa impianti che eccedono prefissate soglie di potenza (dai 20 KW in su). L’iter autorizzativo ha una durata massima di 90 giorni escludendo i tempi per la Valutazione di Impatto Ambientale nel caso fosse necessaria. L’autorizzazione è rilasciata delle Regioni o delle Province coinvolte.
Procedura Abilitativa Semplificata (PAS): per gli impianti con potenza inferiore a quella prevista per l’Autorizzazione Unica, è di competenza del Comune. Il progetto va presentato almeno 30 giorni prima dell’inizio dei lavori per verificare la compatibilità dell’impianto con gli strumenti urbanistici e i regolamenti edilizi vigenti.
Comunicazione al Comune: è l’iter autorizzativo semplificato dedicato ai piccoli impianti di energie rinnovabili che deve essere accompagnato da una dettagliata relazione redatta da un progettista abilitato. In questo caso non è necessario attendere il decorso dei trenta giorni prima di iniziare i lavori.
Fino a qui sembrerebbe che tutta la procedura sia chiara e snella in realtà tutti i processi sopra elencati hanno il grande svantaggio di avere una frammentazione delle competenze. In tema di Autorizzazione Unica, ad esempio, sono solo 12 le Regioni che esercitano la piena funzione autorizzativa, 4 quelle che prevedono una competenza combinata tra Regione e Province e 3 quelle che prevedono la delega totale alle Province, tra queste Lazio e Liguria.
In tema di Valutazione d’Impatto Ambientale, invece, le competenze sono prevalentemente regionali fatta eccezione per le province di Trento e Bolzano e delle regioni Piemonte, Lombardia, Marche e Puglia che prevedono competenze ripartire fra Regioni e relative Province.
Ma non finisce qua. Come dicevamo sopra, l’iter autorizzativo da seguire per gli impianti di energie rinnovabili dipende anche dalla potenza dell’impianto e dalla sua collocazione. In relazione al variare di questi due fattori, si possono avere percorsi autorizzativi complessi (competenza nazionale e/o regionale) o, almeno in teoria, semplificati (competenza regionale e/o comunale).
Il peso dell’individuazione delle aree idonee e la verifica di Assoggettabilità sui tempi di realizzazione degli impianti
Due ulteriori aspetti particolarmente importanti associati agli iter autorizzativi sono l’individuazione delle aree idonee e la Verifica di Assoggettabilità. La prima consiste nella facoltà che hanno le Regioni di individuare aree non idonee all’installazione di specifiche tipologie di impianto. Fino ad oggi, sono 13 le Regioni che si sono espresse su solare fotovoltaico (vedi Fig.3).
La Verifica di Assoggettabilità (VA), ovvero la procedura valutativa finalizzata a stabilire se un progetto, sulla base dei sui potenziali impatti negativi, deve essere sottoposto a Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA), è un procedimento particolarmente articolato in termini di competenze.
Se la distinzione di competenze fra Stato e Regioni in tema di VIA è abbastanza chiara, la cosa si complica a livello regionale e provinciale. Le Regioni, infatti, hanno la possibilità di delegare le funzioni valutative alle province.
Come conseguenza, il panorama nazionale, allo stato attuale, è caratterizzato da due casistiche:
Esclusiva attribuzione delle funzioni all’amministrazione regionale.
Ripartizione delle funzioni fra amministrazione regionale e provinciali sulla base della tipologia d’impianto.
Per quanto riguarda questo secondo caso, sono 7 le Regioni italiane che hanno deciso di delegare alcune delle funzioni di valutazione ambientale alle proprie Province. In tutto, fra Regioni e Province, sono ben 68 le amministrazioni competenti in tema di VIA a livello nazionale. Una delle criticità dell’iter di Verifica d’Assoggettabilità e di Valutazione d’Impatto Ambientale è dato dalla discrezionalità che le Regioni possono operare nel limitare o ampliare la lista di progetti che devono essere sottoposti all’una, all’altra o ad entrambe le valutazioni.
Queste sono solo le più significative delle facoltà delegate alle Regioni, che nella maggior parte dei casi operano scelte di carattere conservativo finalizzate ad ampliare le casistiche di progetti soggetti a VIA, che hanno come effetto quello di complicare le procedure burocratiche e quindi allungare drasticamente i tempi.
Quello che è evidente è che la diversità nell’affidamento delle competenze in materia autorizzativa, e soprattutto in sede di valutazione ambientale, siano elementi di complessità burocratica che, seppure in alcuni casi siano effettivamente finalizzati ad una migliore tutela dell’ambiente, nella maggior parte dei casi costituiscono elemento di blocco indiscriminato o quantomeno di grave rallentamento nell’iter di approvazione di nuove opere rinnovabili.
Ricordando che fino al 2021 era almeno possibile autorizzare la maggior parte dei progetti accorpando VIA e AU in un unico procedimento, per l’appunto detto “procedimento autorizzativo unico regionale”, che ora è destinato solo a impianti di potenza relativamente modesta. Per gli impianti più grandi, quelli che realmente possono dare un apporto percepibile rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione, si dovrà prima procedere con VIA nazionale, con infinite lungaggini, e solo all’esito si potrà attivare il procedimento autorizzativo vero e proprio, con mille incognite e avanti ad autorità parzialmente e sensibilmente diverse (a livello regionale o provinciale).
Verifica preventiva di interesse archeologico: un nuovo ostacolo voluto dal Mite per frenare le rinnovabili
A settembre di quest’anno il Mite ha deciso di aggiornare la modulistica relativa alla presentazione dell’istanza di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). La legge n. 91/2022 prevede infatti che da ora in poi, nella documentazione da presentare per avviare richiesta di VIA, dovrà essere inserito anche l’atto di verifica preventiva di interesse archeologico (VIARC). Il punto non è ottenere il documento in sé, ma il fatto che la VIARC prevede in iter articolato in tre potenziali fasi, di cui la prima è di prassi, mentre le atre derivano dai contenuti dell’espressione della Sovrintendenza competente, e possono prevedere l’esecuzione di scavi archeologici preventivi (supervisionati da rappresentanti incaricati dal Ministero della Cultura).
In contrasto con gli sbandierati interventi di semplificazione, introdurre la richiesta di VIARC significa complicare notevolmente l’iter autorizzativo. Fare scavi archeologici richiede l’apertura di un cantiere e un intervento invasivo sul terreno. Il proprietario di un pezzo di terra che lo vuole valorizzare, facendoci costruire da terzi un impianto solare, spesso non è disposto a farsi sviscerare un terreno nella speranza che dopo anni possa forse venire approvato l’impianto. Allo stesso modo, le imprese non possono permettersi di acquistare il terreno e assumersi il rischio di fare scavi, senza garanzia di un ritorno dell’investimento dovuto all’esistenza di un progetto autorizzato.
Conclusioni
GIS è pienamente consapevole che il paesaggio sia un bene comune da tutelare ma è inconcepibile pensare allo sviluppo delle energie rinnovabili senza che la loro presenza impatti minimamente sul
territorio. Siamo altresì convinti che la transizione ecologica in un paese come l’Italia possa apportare un notevole valore aggiunto, con rinnovabili ottimamente integrate, produzione di energia pulita e la creazione di nuovi posti di lavoro. Tutto questo sarà però possibile solo attraverso la semplificazione dell’iter autorizzativo.
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